Ritratto d’artista: conversazione critica con Fortunato Seminara
(Maropati 1965)
[…] E ora […] ci si potrebbe chiedere per quale ragione le mie opere e il mio nome restano in una luce calma, che non significa dimenticanza, né abbandono, e non hanno trovato un’occasione per balzare nel fulgore d’una celebrità sia pure effimera; per quale ragione la mia rinomanza non ha mai attraversato zone di clamore, né le mie opere hanno raggiunto alte tirature […] Forse quella ragione si potrebbe trovare nel sistema della mia vita appaltata, anzi scontrosa e priva di casi avventurosi […] nel non essermi mescolato con le comitive rumorose e scandalistiche delle varie avanguardie […] (F. Seminara)
Questa intervista è stata effettuata da me quando mi accingevo a preparare una monografia (la prima sullo scrittore, Fortunato Seminara, Cosenza, Pellegrini, 1966; 2″ edizione accresciuta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1985) su Fortunato Seminara e corrisponde soprattutto alla necessità di fissare cronologia di vita e opere dello scrittore e del suo rapporto con la società. Il testo fu deregistrato da Seminara, non venne pubblicato e rimase tra le sue carte che si trovano ora presso la Fondazione “Fortunato Seminara» in Maropati. della quale è Presidente Adriana Caterina Cordiano che vivamente ringraziamo per avere aderito alla proposta di pubblicare il testo. L’intervista è la prima ampia dichiarazione rilasciata da Fortunato Seminara. A me serviva per confermare i dati storici del mio lavoro (durante la cui stesura chiedevo notizie allo stesso scritture; sui suoi rapporti con letterati, correnti politiche, sui personaggi: una volta che in un suo racconto identificai senza dubbio, nella protagonista che fumava la pipa e aveva tanta paura dei tuoni da nascondersi sotto i materassi, una mia zia che si chiamava Rosalia Seminara, rimase sgomento per il timore che io potessi divulgare la verità); nonché per creare la trama biobibliografìca in un’epoca in cui l’impianto storico era strutturalmente importante e le interviste non avevano assunto il tono frivolo, privatissimo, soggettivistico che hanno assunto in seguito con le deformazioni e le ciarle della televisione. Per il fine dell’inquadramento storico, pertanto, le domande da me poste sono semplici e puntuali.
Seminara giustamente riteneva che il risultato del lavoro del critico potesse essere diverso dalle premesse dell’autore, da quello che l’autore ritiene di proporre come poetica e come realizzazione. Raramente infatti, gli artisti hanno un quadro del lavoro critico, dei sistemi critici, delle relazioni dell’intelletto critico. Nell’intervista sono preziose le indicazioni su Seminara a Roma al tempo del delitto Matteotti, sulla lettura dei Malavogliasuccessivamente alla composizione delle Baracche, sulla conoscenza degli scrittori francesi. Nel testo che pubblichiamo c’è una intromissione di Seminata che mette sulla mia bocca una domanda da me fatta (“C’è differenza tra Alvaro e te?”), per potere indicare soprattutto le diversità tra lui e lo scrittore di San Luca, diversità consistente nell’ “europeismo inafferrabile” e nel gusto di Alvaro “da esteta quasi dannunziano delle immagini e degli atteggiamenti” (Alvaro era già morto ma le osservazioni non precludono l’ammirazione nei confronti dell’esploratore di “oscure profondità”). Vaghezza di Alvaro e paternalismo di Manzoni nei confronti del mondo contadino servono a Seminara per proporre il proprio contributo nella collocazione storico-artistica di quel mondo. Seminata si poneva anche come scrittore delle problematiche sociali, di giustizia-ingiustizia; tali problemi non potevano avere – perché non l’hanno che contingentemente – una soluzione e lo scrittore dà ad essi i colori dell’epoca. Egli qui parla chiaramente del “terzo volume” della trilogia, Terra amara (il titolo non è menzionato) in cui i contadini sono inquadrati nell’atmosfera rivoluzionaria del secondo dopoguerra. Puntuale è la risposta sui toscanismi nelle baracche: egli cercava in Toscana l’equivalente del linguaggio popolare dialettale calabrese ma si accorse in tempo che sarebbe caduto in un artificio. Se la parte fino ad ora letta dell’intervista è interessante per la sistemazione cronologica delle opere e per i riferimenti culturali alla società, l’ultima parte è importante per la posizione di Seminara di fronte alle avanguardie di cui tanto si parlava nel 1965, alla vigilia della maturazione della contestazione studentesca. Seminara era sostenitore di un equilibrio che lo faceva apparire anche cauteloso. Egli sapeva del mio ermetismo degli anni Quaranta e del mio affiatamento con talune correnti del Novecento e poteva ritenere che ragioni di libertarismo letterario mi legassero alla neo-avanguardia. Ciò poteva determinare una risposta polemica. Ma io ero diffidente nei confronti della neo-avanguardia. Seminara ebbe una posizione netta e precisa: vide bene in essa l’aspetto distruttivo più che quello costruttivo, la quasi impossibilità che essa fosse appartenente a una vera sinistra, il sostanziale formalismo (che è un giudizio critico puntuale). Al clamore della neo-avanguardia egli oppone la sua vita in ombra e le sue opere che “restano in una luce calma” lontana dalle fiammate della celebrità ”sia pure effimera”.
Le ragioni per le quali egli non è stato investito dal clamore del successo e della fama lo scrittore le intravede in: mancanza di quel colpo di fortuna (cieca) che non sempre arava. Ma molto giustamente Seminara si domanda se il “successo commerciale” di un libro è sempre “proporzionato al suo valore”. E vero che il libro che ottiene un immeritato successo viene presto dimenticato; tuttavia oggi (anni Sessanta) l’industria culturale concorre straordinariamente al successo. Egli ha condotto una ”vita appartata, anzi scontrosa e priva di casi avventurosi”, attento a non diventare ”personaggio”, nemico di stravaganze e scandali, fino ad allora non accostatosi ad una macchina televisiva né al cinema, non amico di giurie di premi. Il ritratto che Seminara forniva di sé era reale, quello di un intellettuale che aveva compiuto una scelta di vita severa ma era rimasto chiuso in una “regione dimenticata”, una scelta di vita antitetica al sormontante esibizionismo della società dei consumi, alla finzione dell’apparenza e delle immagini istantaneamente obliterate.
PlROMALLl Vuoi delineare brevemente il disegno della tua opera? Ciò può aiutare a seguire lo svolgimento della tua arte. Credo che nessuno ancora l’abbia tentato.
SEMINARA Vorrei meglio che la tua indagine fosse libera da ogni suggestione, perché temo che alla fine la tua scoperta sia diversa da ciò che potrei proporti. L’interpretazione che potrei dare io delle mie idee, insomma, e anche della tematica del mio lavoro, può darsi che non collimi con ciò che sarà scoperto da te. Quella che tu chiami la poetica, che deve essere per forza connessa a un disegno ,.. Quando cominciai a scrivere, posso dire che avevo disegnato quasi tutta l’opera che poi avrei costruita anno per anno, giorno per giorno e anche quella parte che è ancora da fare; ed è venuto un lavoro dietro l’altro, uno quasi continuazione e conseguenza dell’altro. Tu troverai nelle mie opere qualche traccia d’illuminismo, ma non come teoria, come atmosfera, che era diffusa in certa letteratura che mi capitò per le mani. Un dato sicuro da tenere presente è questo: che nella mia formazione hanno molto valore, più che le letture, le mie esperienze personali e l’osservazione diretta dei fatti della vita. Vuoi un esempio? Nei primi studi non conobbi il De Amicis, che pure è autore consacrato dall’uso, le cui opere sono giudicate indispensabili alla formazione intellettuale dei giovani, perché nessuno me lo mise tra le mani; cosicché quando poi, più tardi, lessi le sue opere, mi suonarono un po’ artificiose. Furono, nel paese natale, studi sommari fino alla quarta elementare. Poi entrai in seminario e lì mi trovai davanti dei programmi di un istituto religioso, che pur adeguandosi a quelli governativi, avevano propri scopi, volevano imprimere agli studi una certa tendenza, E divorai con l’avidità di chi ha patito una lunga privazione,
PIROMALLI In quale anno entrasti in seminario?
SEMINARA Entrai in seminario, come altri ragazzi di famiglie contadine e artigiane, non per vocazione religiosa, ma perché la retta annuale (£. 300) era bassa e adeguata alle condizioni economiche della mia famiglia. I seminari vescovili allora, e credo ancora oggi, incoraggiano i ragazzi poveri per avviarli al sacerdozio; a qualcuno, durante il corso degli studi, veniva la vocazione come si dava anche il caso che a qualcuno quell’esperienza la facesse passare. Io entrai in seminario allo scoppio della prima guerra mondiale, nell’ottobre del 1915, e ne uscii nel luglio del 1918. In autunno ero a Palmi, alla quarta ginnasiale. In seminario feci studi serii, specie nelle materie umanistiche, e quando uscii, sapevo il latino meglio dei professori di Palmi. Frequentai la quinta ginnasio a Reggio. Poi a Napoli il primo anno di liceo e la licenza liceale al “Galileo” di Pisa, due anni in uno, perché ero di leva. Mi iscrissi in Giurisprudenza all’Università di Roma, mentre ero in servizio militare, scritturale al Ministero degli Esteri, e frequentai gli altri tre anni a Napoli dove mi laureai nel 1927. In quegli anni ero irrequieto, avevo avidità non solo di sapere, ma anche di girare e conoscere il mondo. Ciò impensieriva mia madre, che scambiando la mia curiosità con incostanza, presagiva per me incapacità di applicarmi a qualche cosa con tenacia e sconfitte nella vita. Se si riferiva alle conquiste della vita pratica, ha avuto ragione; difatti non ho acquistato ricchezza, né onori e non ho percorso carriere.
PlROMALLl Come sei capitato a Pisa?
SEMINARA C’era a San Prospero di Novacchio, un paesino vicino Pisa, un cugino di mia madre, il quale durante il servizio militare si era innamorato d’una ragazza di là e l’aveva sposata. Nelle feste di Natale venne insieme con lei al paese per presentarla ai genitori; così ebbi occasione di conoscerlo e mi invogliai di andare in Toscana. In quel tempo ero sotto l’influenza del D’Annunzio e pensavo che il soggiorno in Toscana fosse la suprema aspirazione per uno che avesse ambizioni letterarie e fosse l’unico mezzo per raggiungere la perfezione nella lingua: un’infatuazione da liceale. Del resto l’imitazione dannunziana era allora molto diffusa e fece le sue vittime. Io me ne liberai presto. Certe mie composizioni giovanili, che poi distrussi, ne risentivano. Appena uscito dal seminario per non tornarci più, libero da ogni pastoia, mi ero gettato come un affamato sui libri che trovai in una libreria di Palmi, tra cui Terra Vergine, In seminario avevo letto il Manzoni. I Promessi Sposi furono il mio primo cibo; lo lessi con tutto l’entusiasmo e l’amore di cui allora (secondo anno di ginnasio) ero capace.
PlROMALLI Hai cominciato l’Università a Roma?
SEMINARA Mi trovavo a Roma al tempo del delitto Matteotti. Ecco un fatto che ebbe una profonda risonanza nella mia coscienza. Vissi quei mesi d’infuocata passione politica che lasciarono segni indelebili nei miei pensieri. Perciò dovetti trasferirmi, appena congedato dal servizio militare, a Napoli.
PIROMALLI Avevi letto la Deledda prima di scrivere le tue opere?
SEMINARA Non avevo letto la Deledda. Non avevo letto Alvaro, non avevo letto Verga, eccetto qualche brano di antologia (lessi 1 Malavoglia nel marzo del 1941, da richiamato in una caserma di Reggio Calabria) quando scrissi Le Baracche. Scrissi questo libro, preceduto solo da alcuni racconti e da un altro romanzo ancora inedito, dopo la emigrazione in Svizzera (nel 1930), dove fui ospite di un professore dell’Università di Ginevra, il quale mi mise a disposizione la sua biblioteca: lessi allora nel testo e nella traduzione: La fame di Knut Hamsun, Balzac, Zola, Proust, i grandi narratori russi dell’Ottocento e gli scrittori francesi: Maurois, Gide, Giraudoux, ecc, (ero assiduo lettore della NRF); affrontai per la prima volta nella traduzione francese Dostoevskij, che fino ad allora mi aveva sgomentato. Quando mandai,nel 1935, Le Baracche ad Alvaro, di cui conservo il giudizio espresso in una lunga lettera, non avevo letto ancora le sue opere,
PlROMALLl In Alvaro c’è un mondo favoloso: la fanciullezza che apre gli orizzonti…
SEMINARA Un inondo mitico e fermo, che qualcuno ha paragonato alle bottiglie di Morandi. Per lui, che l’abbandonò da ragazzo con le fresche e tenaci impressioni della sua età, la Calabria è stata dannazione, rimpianto e rimorso continuo, fuga e ritorno. Forse dalla sua formazione culturale gli fu impedita la scoperta dell’elemento fondamentale della nostra realtà, la cosa più seria e più salda nello sfasciume sociale: i contadini. Forse gli mancò anche l’umiltà per capirli, o non ci prestò attenzione per correre dietro all’aspirazione ad un europeismo inafferrabile. Non personaggi mitici, o retorici, come a volte s’incontrano nelle sue opere, ma componenti d’una realtà viva e determinata; non atteggiamenti, colore di pelle e di vestiti, virtù e difetti proverbiali, ma dolore, pensieri, azione, passione, rivolta e anche delitti, che danno movimento alla vita e alla storia di un popolo.
PlROMALLl C’è differenza tra Alvaro e te?
SEMINARA Alvaro aveva un gusto da esteta quasi dannunziano delle immagini e degli atteggiamenti, attraverso i quali cercava la via per penetrare in una realtà intima. Attribuiva ad un gesto significati simbolici, quasi magici. Il mistero lo affascinava, forse una suggestione che gli veniva da radici affondate in oscure profondità; le sue cose migliori sono quelle in cui si sente un’arcana vibrazione che rasenta il limite dell’ inconoscibile. Coglie talvolta una coscienza primitiva: per esempio nel racconto di quella figlia dell’americano, che per non interrompere l’abitudine e l’obbligo di andare a far visita ogni mattina a suo padre, ci va anche il giorno dopo il parto, e colta da un’emorragia, muore. Una cosa forte. Ebbe da principio qualche veilleità populista, ma con un gusto un po’ barocco. Grande perfezione della forma, per cui si può dire che i suoi racconti sono dei poemetti. Da notare questo fallo strano: incominciò con una monografìa sul Santuario di Polsi, un tema da erudito provinciale, e finì con l’utopia di Belmoro.
PlROMALLI Sì, ma anche Manzoni… C’è tanta differenza nelle Baracche. L’opposto addirittura.
SEMINARA Manzoni tiene verso gli umili un atteggiamento di bonario paternalismo e li giudica stando al di sopra. Questo fu notato anche da Gramsci. Io sto in mezzo a loro con calda partecipazione e non per obbedire ad un precetto evangelico, ma perché ho provato le stesse angustie e patito come loro. Non ne faccio un elogio generico, ma pure scoprendo difetti e pregi, mi sforzo di andare a fondo a cercare la radice e il significato della loro sofferenza, che pesa sulla loro vita da secoli e può esplodere in forme violente di delitto e di rivolta, 11 mio, credo, e il primo tentativo serio di portare in luce e inserire nella storia il mondo contadino. Vi si era provato Tolstoi in un tempo diverso e con diversa ideologia. Forse Sciolochov…
PlROMALLI I fatti delle Baracche quando avvengono?
SEMINARA Dopo la prima guerra mondiale. Io avevo un’esperienza fin da ragazzo; ricordo quel quartiere delle baracche, dove erano ricoverati i sinistrati del terremoto del 1908, la gente più povera; un quartiere formicolante di bambini seminudi e affamati, di lavoratori che trovavano un sollievo nell’ubriachezza, di prostitute … Avevo davanti alla mente un quadro vivo. L’incendio poi avvenne verso il 1932,
PlROMALLI Ma i fatti?
SEMINARA Inventati, C’è un nocciolo di realtà, qualche spunto, qualche personaggio…
PlROMALLI E La Masseria in quale epoca è situata?
SEMINARA La Masseria è il simbolo della grande proprietà fondiaria arretrata. Una specie di schiavisti, quei vecchi proprietari. Avevo sentito raccontare da mio nonno di soprusi e di violenze… Ce n’era uno che adoperava il nerbo contro chi resisteva al suo volere. Prendevano le donne dei dipendenti a servizio e per il letto. Pensa che in quei tempi di fame, per guadagnare, dopo una annata di lavoro, qualche tomolo (Kg, 45) di granoturco e di fagioli, la gente andava nelle terre dei grandi proprietari verso Rosarno, terre paludose e malariche, distanti dal nostro paese sei, otto chilometri.
PlROMALLI Quando hai scritto La Masseria?
SEMINARA La prima idea l’ebbi verso il 1940, poco prima della guerra e la portai dentro in me durante il richiamo in servizio e al ritorno, per maturarla e trovare una soluzione; ma riflette il tempo e il clima del primo dopoguerra. Ci lavorai tre anni: 1947,1948 e 1949, se non sbaglio. Allora mi venne anche l’idea di legare la vicenda a quella delle Baracche, perché i Caporale erano dei grandi proprietari.
PlROMALLI Quale tua opera è situata in questo dopoguerra? Il Vento nell’Uliveto, mi pare.
SEMINARA SÌ, il Vento. Ci sono gli scioperi, la fame…L’avevo cominciato prima della guerra come Diario d’un proprietario. Quando lo ripresi, l’idea era matura e il disegno netto.
PlROMALLI in quale anno lo scrivesti?
SEMINARA Lo ripresi nel 1945, dopo la smobilitazione,
PlROMALLI E “Disgrazia in casa Amato”?
SEMINARA Questo libro ha una lunga storia. La prima idea, che annotai in un quaderno, porta la data del settembre 1937 e trae origine da un fatto doloroso,,. Meglio non parlarne. Fui profeta, in questo libro, per la morte di mia madre. Ricordi che la madre di Fausto era ammalata di cuore e morì improvvisamente nelle braccia del marito? Io quasi previdi la morte di mia madre… E ti dico che quelle pagine, in cui descrivo la visita di Fausto alla tomba di sua madre, le scrissi con angoscia, quasi con un triste presentimento. L’idea è del 1937 ed io per molti anni andai cercando la forma da dare a quest’opera; perché era facile scivolare nel libello contro lo sfregio. Perciò poi rifiutai il titolo Lo sfregio suggerito da Vittorini. Il mio primo titolo era: L’uomo era un lupo. Scrissi il libro in due mesi: da maggio ai primi di luglio del 1953. Perché l’opera era matura.
PlROMALLI E “Donne di Napoli” invece?
SEMINARA Questo libro rispecchia un’esperienza del mio soggiorno napoletano; quegli ambienti piccolo-borghesi, gente piena di illusioni, di vaghe aspirazioni, una vita d’imitazione della borghesia, o degli artisti del cinema, le cui vicende ruotano attorno al sesso… Una specie di commedia napoletana. Scritto nel 1940, lo ripresi alla fine del 1942, appena smobilitato, e ci cambiai molto. Tuttavia non potè riuscire ciò che volevo; la mia ambizione era più vasta; descrivere l’ambiente degli antifascisti nella loro lotta clandestina, costruire un forte personaggio di lottatore, che sarebbe stato zio di quella ragazza strangolata. Ma bisognava fare un altro romanzo. Difatti ne ho concepito in seguito uno in tal senso, di cui ho scritto 150 pagine, ma è rimasto incompiuto.
PlROMALLI Invece “La fidanzata impiccata”?
SEMINARÀ Lo scrissi in due momenti. Da principio scrissi il racconto in terza persona, verso il 1954, e lo lasciai lì; lo ripresi qualche anno dopo, perché mi venne l’idea di mostrare nel “Diario” la doppia vita di quella ragazza. Mi accorsi che in lei c’era dell’ambiguità che permetteva un ulteriore svolgimento della storia. Il “Diario” è piaciuto molto più che la prima parte. Mondadori voleva pubblicarlo a parte, staccato dal resto del romanzo; e l’idea è stata poi ripresa da Einaudi nella “trilogia” pubblicata di recente.
PlROMALLI Ora parlami di “Il mio paese del Sud”.
SEMINARA Questi racconti riempiono gl’intervalli fra i romanzi.
PlROMALLI Comunque, la tua opera come interpretazione di questo mondo oppresso da ingiustizie, ecc. ha dietro di sé tutta una letteratura sociale.
SEMINARA A cominciare da quella dell’Ottocento. Ci si potrebbe rifare a Victor Hugo.
PlROMALLI Corrente democratica, populista anche.
SEMINARA …romantica, naturalista, ecc. Un certo illuminismo come atmosfera, se non come teoria, lo troviamo in molte di quelle opere. Una grande impressione mi fece, quando lo lessi (licenziato dal ginnasio), I Miserabili di Victor Hugo. Come dopo il ritorno dalla Svizzera le impressioni più profonde le ricevetti dal Don Chisciotte. Ho già parlato del Manzoni, di Dostoevskij, di Tolstoi e degli altri grandi narratori russi e francesi. La mia mente si nutrì di queste opere, di questa atmosfera, lontano da ogni tentazione estetizzante, separata da un muro dal D’Annunzio, dal dannunzianesimo e da altre correnti letterarie che ad esso si ispirarono, o ne furono una diretta, o indiretta derivazione e conseguenza.
PlROMALLI Quindi lontano anche dalle influenze del decadentismo, dalla problematica del bene e del male, ecc. se vogliamo chiamarla cosi.
SEMINARA Bene e male per me non sono categorie astratte, ma concretamente individuati in un ordine sociale. Dell’urto tra bene e male, della lotta e sopraffazione di queste due forze, diciamo così, ho cercato l’origine in un ordine sociale. La mia concezione del mondo, insomma, non è mitologica, ma realistica. Mi sono sforzato d’indagare l’origine dell’ingiustizia, diciamo del male… di spiegarmi il perché il mondo è fatto male.
PlROMALLI Nel Vento nell’uliveto, per esempio, si dibatte il problema, ma questa spiegazione c’è?
SEMlNARA IO non voglio arrivare mai ad una conclusione, cioè non offro mai delle soluzioni, perché questi problemi devono restare aperti. Deve venire dalle mie opere uno stimolo a dibatterlo. Non do ricette sicure…
PlROMALLI Questi personaggi, per esempio contadini, nel Vento nell’uliveto, in Disgrazia in casa Amato hanno una scarsa coscienza sociale, sono baluginanti, o fantastici, o esasperati… con questo problema; è giusto? non è giusto?; appunto perché dietro di loro c’è questo periodo lunghissimo di oppressione che non li ha aperti, non li ha schiariti…
SEMINARA Ma ciò che importa è che abbiano la coscienza che le cose vanno male, una coscienza sia pure istintiva… Nella Masseria l’hanno più chiara, questa coscienza: un socialismo un po’ utopistico, garibaldino.
PlROMALLI Appunto, La Masseria per me è il culmine.
SEMINARA Anche Russo ammira molto quest’opera in I contemporanei. Bo ne scrisse una lunga recensione quando fu pubblicata. Nel terzo volume ancora inedito questa coscienza si rafforza e si schiarisce, s’indirizza verso uno scopo preciso; siamo già in un’atmosfera rivoluzionaria, propria dell’ultimo dopoguerra. Ma non sono ancora soddisfatto e devo rivederlo,
PlROMALLI Tu non intervieni quali mai nelle vicende dei personaggi.
SEMINARA Cerco di restare obiettivo. Edhanno torto coloro che hanno voluto attribuire a certe mie opere un valore biografico. Non ho fatto mai apologia.
PlROMALLI Perché quel toscaneggiare nelle Baracche? nel dialogo delle ragazze, nella baracca della Storpia, si trovano frasi di sapore toscano: “Noi si mena la lingua…Mira…”
SEMINARA Ero fresco dì soggiorni in Toscana e di studi sulla lingua parlata toscana, che andavo a cercare tra il popolo della città e della campagna, riempiendo quaderni di note.
PlROMALLI Ma anche purché qui arrivò la lingua toscana come mezzo di unificazione culturale, qui da noi, nelle regioni periferiche, e si conservò questa usanza che altrove si era venuta a poco a poco dissipando.
SEMINARA Ogni scrittore ha avuto i suoi problemi formali, da Dante a Boccaccio, Manzoni, Verga, e ciascuno li ha risolti in una maniera diversa, secondo i tempi e secondo la propria inclinazione. In me è stata la necessità di trovare un linguaggio popolare… Ad un certo momento mi si presentò questo problema: “Quali parole, espressioni si addicono ai miei personaggi? Quale costruzione devo adoperare?” Se tu sapessi che fatica ho durato per descrivere vicende comuni e sentimenti primitivi con una lingua semplice che non togliesse loro verosimiglianza e freschezza! Perché è più facile rappresentare con un linguaggio letterario o aulico delle vicende magari straordinarie, che esprimere dei sentimenti primitivi; ed io pensavo che l’unico modo per raggiungere la perfezione fosse nutrirsi del linguaggio popolare toscano. Risentivo evidentemente dell’esperienza manzoniana. Cercavo insomma l’equivalente del nostro linguaggio popolare dialettale nel vernacolo toscano. Se non mi fossi accorto in tempo, sarei caduto in un pericoloso equivoco. Ci è caduto in un certo senso anche Manzoni. Benché il nostro dialetto sia meno lontano dal toscano di quanto è il dialetto lombardo. Cercando parole e costruzioni da mettere in bocca a personaggi popolari, in modo che non riuscissero artificiosi, sarei caduto in un artificio di un’altra specie. Nel seguito della mia opera la lingua è ripulita di quelle scorie… Io avevo in mano un dialetto meridionale, un poderoso strumento, di cui dovevo salvare la ricchezza e l’efficacia. Ho fatto dei tentativi, che sono serviti, se non altro, a dimostrarmi il mio errore e correggerlo.
PlROMALLI Nel Vento nell’uliveto e in Disgrazia in casa Amato c’è una lingua limpida…
SEMIMARA Non si arriva all’improvviso a quella perfezione, ma per gradi, con fatica, con sconfitte anche, e ciò accade specialmente quando non si vogliono seguire altri esempi e si rifiutano i maestri. Questo si paga.
PlROMALLI C’è chi conserva, per esempio, il classicismo (Bacchelli), chi il romanticismo, chi l’estetismo dannunziano…
SEMINARA Bacchelli, secondo me, è un saggista, un erudito, ma quanto ad essere narratore… Oggi si parla molto di esperienze formali, ma non c’è proprio novità in tali tentativi, in tali problemi; c’è più letteratura, forse più filologia che altro, anzi diciamo una filologia romanzata ed estetizzante… Arrivati a questo punto, viene spontaneo un accenno all’ avanguardia. Finora, e credo che non sia capace di avanzare d’un passo oltre, l’avanguardia si è fatta conoscere più per ciò che vorrebbe distruggere che per ciò che vorrebbe costruire. Resta nel limbo dei desideri. C’è un’avanguardia dell’ asintatticità, un’ altra del turpiloquio… E c’è infine un’avanguardia tinta d’un indistinto rosso che non può essere marxista, perché il marxismo insegna che prima viene la rivoluzione, o un qualsiasi mutamento, prima la realtà mutata, poi la letteratura di tale realtà; cosicché essendo la rivoluzione l’avanguardia letteraria diventa retroguardia. Quanto agli sperimentalisti, una specie di avanguardia, basta osservare che gli esperimenti nella scienza come nelle arti precedono la scoperta e la creazione vera e propria: quindi loro restano in uno stato di pre-arte. Non basta ad un’avanguardia scoprire le “Liale del ’63 ” o di altra annata letteraria, per qualificarsi valida corrente letteraria: è troppo poco. Come spiegare qualche successo dell’avanguardia e qualche premio? Diciamo il clamore recente, fino a qualche tempo fa, dell’avanguardia, è da attribuire, secondo me, alla paura di coloro che la favoriscono e l’applaudono per timore di non apparire arretrati e fuori moda…E ora, infine, ci si potrebbe chiedere per quale ragione le mie opere e il mio nome restano in una luce calma, che non significa dimenticanza, né abbandono, e non hanno trovato un’occasione per balzare nel fulgore d’una celebrità sia pure effimera; per quale ragione la mia rinomanza non ha mai attraversato zone di clamore, né le mie opere hanno raggiunto alte tirature: fortuna che invece è toccata a qualche altro scrittore contemporaneo. Io potrei rispondere che se è una fortuna, si dice cha la fortuna sia cieca … E allora non ha trovato la via che conduce da me. Ma il successo commerciale di un libro è sempre proporzionalo al suo valore? Se si pensa che i libri di Pitigrilli, che credo nessuno legga più, raggiunsero tirature strabilianti per i suoi tempi e ragguardevoli anche per i nostri tempi, una tale fortuna non bisogna proprio augurarsela. Oggi che l’industria editoriale e pubblicitaria ha raggiunto un grande perfezionamento, quanto del successo di un libro è da attribuire a quelle e quanto al suo intrinseco valore? Forse quella ragione si potrebbe trovare nel sistema della mia vita, una vita appartata, anzi scontrosa e priva di casi avventurosi, nel fastidio di diventare personaggio, nel soggiornare in Calabria, una regione dimenticata, nel non avere creato motivi artificiosi di chiasso con scoperte di teorie stravaganti magari a giustificazione della mia arte, che vive in una solarità mediterranea, nel non essermi mescolato con le comitive rumorose e scandalistiche delle varie avanguardie…Non mi sono seduto mai davanti ad una macchina televisiva; non sono stato amante di dive celebri; non ho disposizione al cinema (me ne sono accorto dopo qualche prova); non ho brigato per ricevere alcun premio, di quelli che in una serata fanno balzare un nome alla celebrità e fanno aumentare la tiratura di un libro; non sono consulente di grandi editori ecc. Quanto basterebbe, in un’epoca come la nostra, a seppellire un autore sotto una montagna d’incomprensione e dì dimenticanza…
Tratto da Letteratura e Società, Luigi Pellegrini Editore, agosto 2002