“La casa è su una collina dai fianchi ripidi coperti di oliveti,che dai monti si allunga verso la pianura, restringendosi alla punta estrema come un cuneo. Sorge nel punto più stretto al termine d’una spianata di vigneti,nascosta da un lato dietro querce e olivi. A pochi passi dalla casa la collina bruscamente si abbassa e forma una sella,poi scende allargandosi a ventaglio e addolcendo il pendio interrompe nel fondo della vallata,dove confluiscono le due valli laterali e insieme con esse un torrente e un fiume; da quel punto si stacca un ramo dalla strada che la fiancheggia, si slancia nella pianura folta di aranceti e raggiunge la ferrovia e le marine.
Guardare da quassù è come affacciarsi da un’alta balconata che domina tutto il paesaggio circostante: da tre parti,tra Capo Vaticano e il monte S.Elia, la curva dell’ultimo appennino che culmina nell’Aspromonte, davanti la pianura è più lontano la distesa del mare. La casa è stata costruita in due epoche diverse ed è composta da due parti,che si distinguono dalla diversa patina dell’intonaco dei muri: la vecchia a un piano,una stanza sull’altra,una specie di casa colonica,è rivolta verso mezzogiorno ed ha davanti una stretta aia lastricata di pietre e di fronte un’altra casa con una stanza a livello dell’aia ed un’altra sottostante adibita a stalla. La parte nuova,più ampia e moderna,a pianterreno ha la facciata rivolta a occidente sovrastata da una tettoia di tegole. Dalla parte a oriente della costruzione c’è un appendice: una stanza occupata dal palmento, nel quale si pigia l’uva,e da un tinello interrato che raccoglie il mosto. Un marciapiede in cemento gira intorno alla casa e un muretto limita a occidente lo spazio tra la casa e la vigna. Ai lati della collina altre colline, separate da valli, che bisogna indovinare, la quali si prolungano e si inoltrano fin dove le vallate, allargandosi, diventano pianura, si confondono con la paura stessa; gli uliveti coprono le disuguaglianze e formano una superficie soffice,cangiante come il pelo di certi animali e le piuma di certi uccelli, se è arruffata dal vento. Da quassù si vede il fiume intorno alla valle,si vedono strade che si diramano per la pianura,rivelate di sera dai fari delle auto; si vedono, quando l’aria è tersa , i paesi disseminati sulle alture e sui versanti dei monti, tanto ravvicinati, da dare l’illusione di poterli toccare con una mano, e di sera sembrano lembi di cielo stellato caduti sulla superficie buia della terra. Ma quanta distanza ci separa da tutte questa cose, quanti sentieri scoscesi e strade bisogna percorrere, salite e discese,giri lunghissimi tra due punti che in linea d’aria sono a un tiro di fucile, per raggiungerli: tanta distanza da farli sembrare appartenenti ad un altro pianeta. In certe sere di schiarita la mole dello Stromboli e le isole Eolie sono schierate sulla linea estrema del mare distinte e nette nei loro contorni,come se emergessero grondanti dall’acqua.
La casa ha segnato le tappe percorse dalla famiglia di mio padre nel faticoso sforzo di miglioramento delle sue condizioni: dapprima un pagliaio,poi una stanza a pianterreno costruita con forme di terra seccate al sole e alla fine la casa di pietra e calcina ad un piano, una stanza sopra l’altra e il palmento per pigiare l’uva.
Più oltre il nostro contadino piccolo proprietario non va.
Parlo della nostra casa in campagna. Qui vissi molti anni con mio padre e mia madre, fino a quando, dopo la guerra, tornato dal servizio militare, costruii altre due stanze terrene. Ho lavorato sempre a lume di lucerna a olio: lucerne di varie forme,di ferro con manico da portare sospese a un dito e appendere a un chiodo, di terra cotta e anche qualcuna artistica, che acquistavo durante i miei viaggi; cosicché potrei dire anch’io, come disse Campanella ai suoi accusatori: “Ho consumato più io di olio che loro di vino”.
Prima non si osava concepire l’idea della luce elettrica in campagna, la consideravamo un dono prezioso averla ottenuta nei paesi; non è lontano il tempo in cui le strade erano illuminate dai lampioni ad acetilene. Ma nemmeno ora che le campagne vicine sono state elettrificate,l’hanno portata quassù in collina la luce elettrica.
In questa casa ho scritto tutti i miei libri,spesso all’aria aperta e seduto sotto un castagno nel bosco durante la calura estiva.
Le mie carte sono intrise di verde e di sole, e così le mie opere.
Da ragazzo aiutavo mio padre e mia madre nei lavori dei campi. Poi da quando fui avviato agli studi,rifiutarono il mio aiuto: io ero il figlio che volevano fare avvocato e di ciò erano soddisfatti.
Io, se ho scelto di scrivere, non come un mestiere da guadagno, ma un mezzo di salvare qualche cosa della mia vita, se ho scelto di scrivere, ho scelto anche di restare in contatto con la mia gente, di cui conosco le antiche sofferenze, le lunghe attese, i pregi e i vizi, e di poter agire, se non altro, come “coscienza”, l’unica funzione che può avere lo scrittore oggi: conoscere una realtà,interpretarla,esprimere le aspirazioni di coloro che vivono in questa realtà ed aiutarli ad esprimere se stessi.”
(F. Seminara)